Il liberalismo e la sua critica.
Articolo di Francis Fukuyama – 5 ottobre 2020 (libera traduzione)
Oggi esiste un ampio consenso sul fatto che la democrazia sia sotto attacco o in ritirata in molte parti del mondo. È contestata non solo da stati autoritari come Cina e Russia, ma anche da populisti eletti in molte democrazie che sembravano sicure.
La "democrazia" sotto attacco oggi è una
abbreviazione per la democrazia liberale, e ciò che è maggiormente in
pericolo è la componente liberale di questa coppia. Il termine democrazia si
riferisce ad un sistema politico che attribuisce il potere e la responsabilità
di governo della comunità a rappresentanti scelti attraverso meccanismi quali
elezioni multipartitiche libere ed eque con il sistema del suffragio
universale. La parte liberale, al contrario, si riferisce principalmente a uno
stato di diritto che limita il potere del governo e richiede che anche gli
attori più potenti del sistema operino secondo le stesse regole generali come
comuni cittadini. Le democrazie liberali, in altre parole, hanno un sistema
costituzionale di controlli ed equilibri che limita il potere dei leader
eletti. La democrazia è messa in discussione da stati autoritari come Russia e
Cina che manipolano o rinunciano a elezioni libere ed eque. Ma la minaccia più
insidiosa all'interno delle democrazie liberali esistenti deriva da populisti
che si avvalgono della legittimazione ottenuta attraverso i loro mandati
elettorali per sfidare o minare le istituzioni liberali. Leader come
l'ungherese Viktor Orbán, l'indiano Narendra Modi, e Donald Trump negli Stati
Uniti, hanno cercato di minare l'indipendenza giudiziaria riempiendo i
tribunali di loro sostenitori politici, hanno apertamente infranto le leggi ed
hanno cercato di delegittimare la stampa etichettando i media più popolari
contrari a loro come "nemici del popolo". Hanno cercato di trasformare
le burocrazie in strumenti di parte. Non è un caso che Orbán si proponga come
fautore della "democrazia illiberale".
Tuttavia, l'attacco contemporaneo al liberalismo va
molto più in profondità delle ambizioni di una manciata di politici populisti.
Non avrebbero avuto il successo che hanno avuto se non cavalcassero un'ondata
di malcontento per alcune delle caratteristiche sottostanti delle società
liberali. Per capirlo, dobbiamo guardare alle origini storiche del liberalismo,
alla sua evoluzione nel corso dei decenni e ai suoi limiti come dottrina
dominante.
Cosa era il liberalismo.
Il liberalismo classico può essere meglio compreso
come una soluzione istituzionale al problema del governo della diversità. O per
dirla in termini leggermente diversi, è un sistema per gestire pacificamente la
diversità nelle società pluralistiche. Sorse in Europa tra la fine del XVII e
il XVIII secolo in risposta alle guerre di religione che seguirono alla Riforma
Protestante, guerre che durarono 150 anni e uccisero grandi porzioni delle
popolazioni dell'Europa continentale. Mentre le guerre di religione europee
erano guidate da fattori economici e sociali, la loro ferocia derivava dal
fatto che le parti in guerra rappresentavano diverse sette cristiane che
volevano imporre la loro particolare interpretazione della dottrina religiosa
alle loro popolazioni. Questo era un periodo in cui gli aderenti alle sette
proibite venivano perseguitati, gli eretici venivano regolarmente torturati,
impiccati o bruciati sul rogo e il loro clero cacciato. I fondatori del
liberalismo moderno come Thomas Hobbes e John Locke cercarono di moderare le
aspirazioni della politica, non tanto per promuovere una vita giusta
come definita dalla religione, ma piuttosto per preservare la vita stessa, dal
momento che diverse popolazioni non riuscivano ad essere d'accordo su cosa
fosse una vita giusta. Questa era l'origine lontana della frase
"vita, libertà e la ricerca della felicità" nella Dichiarazione di
Indipendenza negli Stati Uniti d’America. Il principio fondamentale sancito dal
liberalismo è quello della tolleranza: non devi essere d'accordo con i tuoi
concittadini sulle cose più importanti, ma ogni individuo può decidere quali
sono queste cose senza interferenze da parte di altri o dello stato. I limiti
della tolleranza vengono raggiunti solo quando il principio di tolleranza
stesso viene messo in discussione, o quando i cittadini ricorrono alla violenza
per ottenere ciò che vogliono. Inteso in questo modo, il liberalismo era
semplicemente uno strumento pragmatico per risolvere i conflitti tra le
diversità presenti nella società, un sistema che cercava di abbassare la
temperatura della politica togliendo dal tavolo di discussione le questioni
finali e spostandole nella sfera della vita privata. Questo rimane oggi uno dei
suoi punti di forza più importanti: se società diversificate come l'India o gli
Stati Uniti si allontanano dai principi liberali cercando di basare l'identità
nazionale sulla razza, l'etnia o la religione, in effetti stanno invitando il
ritorno di un conflitto potenzialmente violento. Gli Stati Uniti hanno vissuto
un conflitto del genere durante la loro guerra civile e l'India di Modi oggi
sta invitando alla violenza collettiva cambiando la sua identità da nazionale
ad una basata sull'induismo. C'è tuttavia una visione più profonda del
liberalismo sviluppatasi nell'Europa continentale e che è stata incorporata
nella moderna dottrina liberale; in questa prospettiva, il liberalismo non è
semplicemente un meccanismo per evitare pragmaticamente i conflitti violenti,
ma anche un mezzo per proteggere la dignità umana. Il concetto della “dignità
umana” è cambiato nel tempo. Nelle società aristocratiche era un attributo
concesso solo ai guerrieri che rischiavano la vita in battaglia, mentre il cristianesimo
universalizzò il concetto di dignità basandolo sulla possibilità della scelta
morale umana: gli esseri umani avevano uno status morale più elevato
rispetto al resto della natura creata, ma inferiore a quello di Dio perché potevano
scegliere tra giusto e sbagliato. A differenza della bellezza,
dell'intelligenza o della forza, questa caratteristica era universalmente
condivisa e rendeva tutti gli esseri umani uguali agli occhi di Dio. Al tempo
dell'Illuminismo, alla capacità di scelta o di autonomia individuale fu data
una forma secolare da pensatori come Rousseau ("perfettibilità") e
Kant (una "buona volontà"), e divenne il terreno per la moderna
comprensione del diritto fondamentale alla dignità sancito in molte costituzioni
del XX secolo. Il liberalismo riconosce l'uguale dignità di ogni essere umano
garantendogli diritti che ne proteggono l'autonomia individuale: diritti di
parola, di riunione, di credo e, in ultima analisi, di partecipare
all'autogoverno. Il liberalismo protegge così la diversità deliberatamente
non specificando gli obiettivi più elevati della vita umana. E così questo
impedisce di qualificare le comunità religiose come liberali. Il liberalismo
garantisce anche uguali diritti a tutte le persone considerate esseri umani a
pieno titolo, in base alla loro capacità di scelta individuale. Il liberalismo
tende quindi a una sorta di universalismo: i liberali non si preoccupano solo
dei loro diritti, ma anche dei diritti degli altri al di fuori delle loro
comunità particolari. Così la rivoluzione francese ha portato i “diritti
dell'uomo e del cittadino” in tutta Europa. Fin dall'inizio le discussioni
principali tra i liberali non riguardavano questo principio, ma piuttosto su
chi si qualificasse come individui portatori di diritti, con vari gruppi -
minoranze razziali ed etniche, donne, stranieri, diseredati, bambini, pazzi e
criminali - esclusi da questo cerchio magico. Un'ultima caratteristica del
liberalismo storico era la sua associazione con il diritto alla proprietà
privata. I diritti di proprietà e l'applicazione dei contratti attraverso
istituzioni legali divennero la base per la crescita economica in Gran
Bretagna, Paesi Bassi, Germania, Stati Uniti, ed altri stati che non erano
necessariamente democratici ma proteggevano tale diritto. Per questo il
liberalismo è fortemente associato alla crescita economica e alla
modernizzazione; i diritti erano protetti da una magistratura indipendente che
poteva ricorrere al potere dello Stato per farli rispettare. Correttamente
compreso, lo stato di diritto si riferiva sia all'applicazione delle regole
quotidiane che governavano le interazioni tra individui sia alla progettazione
di istituzioni politiche che assegnassero formalmente il potere politico
attraverso le costituzioni. La classe storicamente più impegnata nel
liberalismo era la classe dei proprietari di immobili, non solo i proprietari
terrieri agrari, ma le miriadi di proprietari e imprenditori della classe media
che Karl Marx avrebbe etichettato come la borghesia.
Il liberalismo è connesso alla democrazia, ma non è
la stessa cosa. È possibile avere regimi liberali ma non democratici: mi
vengono in mente la Germania nel XIX secolo e Singapore e Hong Kong nel tardo
XX secolo. È anche possibile avere democrazie non liberali, come quelle che
Viktor Orbán e Narendra Modi stanno cercando di creare, con privilegio di
alcuni gruppi rispetto ad altri. Il liberalismo è alleato della democrazia
attraverso la sua protezione dell'autonomia individuale, che in ultima analisi
implica un diritto alla scelta politica e al diritto di voto. Ma non è la
stessa cosa della democrazia. Dalla Rivoluzione francese in poi, ci furono
sostenitori radicali dell'uguaglianza democratica che erano disposti ad
abbandonare del tutto lo stato di diritto liberale e conferire il potere ad uno
stato dittatoriale per ottenere tale risultato. Sotto la bandiera del
marxismo-leninismo, questa è diventata una delle grandi linee di frattura del
XX secolo. Anche negli stati dichiaratamente liberali, molti in Europa e Nord
America di fine Ottocento e inizio Novecento, c'erano potenti movimenti
sindacali e partiti socialdemocratici che erano più interessati alla
redistribuzione economica che alla protezione rigorosa del diritto di proprietà
privata.
Il liberalismo ha visto anche l'ascesa di un altro
concorrente oltre al comunismo: il nazionalismo. I nazionalisti hanno rifiutato
l'universalismo del liberalismo e hanno cercato di conferire diritti solo al
loro gruppo favorito, definito dalla cultura, dalla lingua o dall'etnia. Con il
progredire del XIX secolo, l'Europa si riorganizzò da base dinastica a base
nazionale, con l'unificazione avvenuta in Italia ed in Germania, e con una
crescente agitazione nazionalista all'interno degli imperi multietnici ottomano
e austro-ungarico. Questo portò nel 1914 all’esplosione della Grande Guerra,
che uccise milioni di persone e gettò le basi per una seconda conflagrazione
globale nel 1939. Successivamente la sconfitta di Germania, Italia e Giappone
nel 1945 aprì la strada alla restaurazione del liberalismo come ideologia di
governo del mondo democratico. Gli europei compresero la follia
nell’organizzare la politica attorno ad una concezione esclusiva ed aggressiva
della nazione, e crearono la Comunità Europea e più tardi l'Unione Europea per
subordinare i vecchi Stati-nazione a una struttura cooperativa transnazionale.
Da parte loro, gli Stati Uniti svolsero un ruolo importante nella creazione di
una nuova serie di istituzioni internazionali, comprese le Nazioni Unite (e le
organizzazioni affiliate di Bretton Woods come la Banca Mondiale e l'FMI), il
GATT e l'Organizzazione mondiale del commercio, e iniziative regionali
cooperative come NATO e NAFTA. La più grande minaccia a questo ordine proveniva
dall'ex Unione Sovietica e dai suoi partiti comunisti alleati nell'Europa
orientale e nel mondo in via di sviluppo. Ma l'ex Unione Sovietica è crollata
nel 1991, così come la legittimità percepita del marxismo-leninismo, e molti
paesi ex comunisti hanno cercato di incorporarsi nelle istituzioni internazionali
esistenti come l'UE e la NATO. Questo mondo post-Guerra Fredda divenne
collettivamente noto come l'ordine internazionale liberale.
Il periodo dal 1950 agli anni '70 è stato il periodo
di massimo splendore della democrazia liberale nel mondo sviluppato. Lo stato
di diritto liberale ha favorito la democrazia proteggendo le persone comuni
dagli abusi: la Corte Suprema degli Stati Uniti, ad esempio, è stata
fondamentale nell'abbattere la segregazione razziale legale attraverso
decisioni come Brown contro il Board of Education. E la democrazia ha
protetto lo Stato di diritto: quando Richard Nixon ha utilizzato la CIA
ordinando intercettazioni illegali, è stato un Congresso democraticamente
eletto che lo destituito dal potere. Lo stato di diritto liberale ha posto le
basi per la forte crescita economica del secondo dopoguerra che ha poi
consentito a legislature democraticamente elette di creare stati assistenziali
ridistributivi. La disuguaglianza era tollerabile in questo periodo perché la
maggior parte delle persone poteva vedere il miglioramento delle proprie
condizioni materiali. In breve, questo periodo ha visto una convivenza, in gran
parte felice, di liberalismo e democrazia in tutto il mondo sviluppato.
La
critica.
Il liberalismo è stata un'ideologia di ampio
successo, responsabile di gran parte della pace e della prosperità del mondo
moderno. Ma ha anche una serie di carenze, alcune delle quali sono state
innescate da circostanze esterne ed altre che sono intrinseche alla dottrina;
le prime si ritrovano nel regno dell'economia, le seconde nel regno della
cultura. Le carenze in tema economico hanno a che fare con la tendenza del
liberalismo economico ad evolversi in quello che è stato chiamato
"neoliberismo". Neoliberismo è oggi un termine peggiorativo usato per
descrivere una forma di pensiero economico, spesso associato all'Università di
Chicago o alla scuola austriaca, e ad economisti come Friedrich Hayek, Milton
Friedman, George Stigler e Gary Becker. Questi denigrarono nettamente il ruolo
dello Stato nell'economia e enfatizzarono i liberi mercati come stimoli alla
crescita ed efficienti allocatori di risorse. Molte delle analisi e delle
politiche consigliate da questa scuola erano in effetti utili ma anche in
ritardo: le economie erano sovraregolamentate, le aziende statali inefficienti
e i governi responsabili delle simultanee alta inflazione e bassa crescita
sperimentate durante gli anni '70. Ma le pur valide intuizioni sull'efficienza
dei mercati si sono evolute in qualcosa di simile ad una religione, in cui
l'intervento dello Stato è stato criticato non tanto sulla base di
un'osservazione empirica ma quanto come una questione di principio. La deregolamentazione
ha prodotto prezzi dei biglietti aerei e costi di trasporto più bassi per le
merci, ma ha anche gettato le basi per la grande crisi finanziaria del 2008
quando è stata applicata al settore finanziario. La privatizzazione fu forzata
anche in casi di monopoli di risorse pubbliche, come l'acqua municipalizzata o
di sistemi di telecomunicazione, portando a frodi quale, ad esempio, la
privatizzazione di TelMex in Messico dove un monopolio pubblico fu trasformato
in uno privato. Forse più importante, l'intuizione fondamentale della teoria
del commercio, che il libero scambio portasse ad una maggiore ricchezza per
tutte le parti coinvolte, trascurò l’intuizione più profonda che questo era
vero solo nell’insieme aggregato mentre in pratica molti individui sarebbero
poi stati danneggiati dalla liberalizzazione del commercio. Il periodo dagli
anni '80 in poi vide la negoziazione di accordi di libero scambio, sia globali
che regionali, che spostarono posti di lavoro e investimenti dalle ricche
democrazie ai paesi in via di sviluppo, aumentando le disuguaglianze interne.
Nel frattempo, molti paesi distrassero dai loro settori pubblici risorse e
attenzione, conducendo a carenze in una serie di servizi pubblici quali
istruzione, salute e sicurezza. Il risultato è stato il mondo emerso dopo il
2010 in cui i redditi aggregati erano più alti che mai, ma anche la disuguaglianza
all'interno dei paesi era cresciuta enormemente. Molti paesi in tutto il mondo
hanno visto emergere una piccola classe di oligarchi, multimiliardari, che
potevano convertire le proprie risorse economiche in potere politico attraverso
lobbisti e l'acquisto della proprietà di media dell’informazione. La
globalizzazione ha permesso anche a costoro di trasferire facilmente i loro
patrimoni in denaro in giurisdizioni amichevoli e sicure, privando gli Stati di
importanti entrate fiscali e rendendo la regolamentazione molto difficile. La
globalizzazione ha comportato anche la liberalizzazione delle regole in materia
di migrazione e popolazioni di nascita estera hanno cominciato ad aumentare in
molti paesi occidentali, favorite da crisi come la guerra civile siriana che ha
inviato più di un milione di rifugiati in Europa. Tutto ciò ha aperto la strada
alla reazione populista che, ad esempio, è diventata chiaramente
evidente nel 2016 con il voto britannico sulla Brexit; ma anche in altre
nazioni Europee, e negli USA con
l'elezione di Donald Trump.
Il secondo malcontento nei confronti del
liberalismo, così come si è evoluto nel corso dei decenni, trae origine dalle
sue stesse premesse. Il liberalismo ha deliberatamente livellato l'orizzonte
della politica: uno stato liberale non ti dirà come vivere la tua vita, o cosa
comporta una vita giusta; come perseguire la felicità dipende da te.
Questo produce un vuoto nel cuore delle società liberali, che spesso viene
riempito dal consumismo, dalla cultura pop o da altre attività casuali che non
portano necessariamente alla prosperità umana. Questa è stata la critica di un
gruppo di intellettuali (per lo più) cattolici tra cui Patrick Deneen, Sohrab
Ahmari, Adrian Vermeule e altri, che ritengono che il liberalismo porti a
risultati di compromesso inadeguati per chiunque abbia aspirazioni morali più
profonde. E questo ci porta ad un
livello più profondo di malcontento.
La teoria liberale, sia nelle sue forme economiche
che in quelle politiche, è costruita intorno agli individui e ai loro diritti,
e il sistema politico protegge la loro capacità di fare scelte in modo
autonomo. Infatti, nella teoria economica neoclassica, la cooperazione sociale
nasce solo come risultato di individui razionali che decidono che è nel loro
interesse lavorare con altri individui. Tra gli intellettuali conservatori,
Patrick Deneen è andato oltre sostenendo che l'intero approccio è profondamente
imperfetto proprio perché si basa su questa premessa individualistica e
santifica l'autonomia individuale al di sopra di ogni altro bene; così per lui
l'intero progetto americano basato com'era sui principi individualistici Lockiani
era infondato. Gli esseri umani per Deneen non sono principalmente individui
autonomi, ma esseri profondamente sociali che sono definiti dai loro obblighi e
legami con una vasta gamma di strutture sociali, dalle famiglie fino alle
nazioni. Questa comprensione sociale della natura umana era una verità
lapalissiana data per scontata dalla maggior parte dei pensatori prima dell'Illuminismo
occidentale. Una verità supportata anche da una grande quantità di recenti
ricerche nelle scienze sociali che mostrano come gli esseri umani siano
programmati per essere creature sociali: molte delle nostre facoltà più
salienti sono quelle che ci portano a cooperare gli uni con gli altri in gruppi
di varie dimensioni e tipologie. Questa cooperazione non nasce necessariamente
da un calcolo razionale, ma è anche supportata da facoltà emotive come
l'orgoglio, il senso di colpa, la vergogna e la rabbia che rafforzano i legami
sociali. Il successo della specie umana nei millenni che ci ha permesso di
dominare completamente il nostro habitat naturale ha a che fare con questa
attitudine a seguire norme che inducono la cooperazione sociale. Per converso,
il tipo di individualismo celebrato nella teoria economica e politica liberale
è uno sviluppo contingente emerso nelle società occidentali nel corso dei
secoli. La sua storia è lunga e complicata, ma ha avuto origine nelle regole di
eredità stabilite dalla Chiesa cattolica nel primo medioevo che minarono le
reti di parentela estese che avevano caratterizzato le società tribali
germaniche. L'individualismo è stato ulteriormente convalidato dalla sua
funzionalità nel promuovere il capitalismo di mercato: i mercati hanno
funzionato in modo più efficiente se gli individui non erano vincolati dagli
obblighi verso la famiglia ed altre reti sociali. Ma questo tipo di
individualismo è sempre stato in contrasto con le inclinazioni sociali degli
esseri umani. Inoltre, non è naturale per gli individui che fanno parte di
altre società non occidentali, come l'India o il mondo arabo dove i legami di
parentela, casta o etnia, sono ancora importanti nella vita della società.
L'implicazione di queste osservazioni per le società liberali contemporanee è
chiara. I membri di tali società desiderano opportunità di legarsi tra di loro
in modi diversi: come cittadini di una nazione, membri di un gruppo etnico o
razziale, residenti di una regione o aderenti a un particolare insieme di
credenze religiose. L'appartenenza a tali gruppi dà alla loro vita significato
e consistenza in un modo che la semplice cittadinanza in una democrazia
liberale non dà. Molti dei critici di destra del liberalismo ritengono che
questa ideologia abbia sottovalutato la nazione e l'identità nazionale
tradizionale; così, ad esempio, Viktor Orbán ha affermato che l'identità
nazionale ungherese si basa sull'etnia ungherese e sul mantenimento dei valori
e delle pratiche culturali tradizionali ungheresi. I moderni nazionalisti, come
Yoram Hazony, celebrano la nazionalità e la cultura nazionale come grido di
battaglia per la comunità e lamentano l'effetto dissolvente del liberalismo
sull'impegno religioso, bramando un più forte senso di comunità e valori
condivisi, sostenuti dalla virtù derivante dal servizio alla comunità stessa.
Parallelamente c’è scontento a sinistra. L'uguaglianza giuridica davanti alla
legge non significa che le persone siano trattate allo stesso modo nella
pratica; razzismo, sessismo e pregiudizi anti-gay persistono nelle società
liberali e quelle ingiustizie sono diventate questioni attorno alle quali le
persone si possono mobilitare. Il mondo occidentale ha visto l'emergere di una
serie di movimenti sociali dagli anni '60, a partire dal movimento per i
diritti civili negli Stati Uniti e dai movimenti che promuovono i diritti delle
donne, delle popolazioni indigene, dei disabili, della comunità LGBT e simili.
Più progressi sono stati fatti verso l'eliminazione delle ingiustizie sociali,
più insopportabili sembrano le ingiustizie rimanenti, e da qui nasce
l'imperativo morale di mobilitarsi per correggerle. La critica della sinistra è
diversa nella sostanza ma simile nella struttura a quella della destra: la
società liberale non fa abbastanza per sradicare il razzismo radicato, il
sessismo e altre forme di discriminazione, quindi la politica deve andare oltre
il liberalismo.
E, analogamente alla destra, anche i progressisti
desiderano un legame più profondo e la soddisfazione personale che deriva da
questa forma di solidarietà con le persone che hanno sofferto per simili
umiliazioni. Questo istinto di vincolo e la pochezza della vita morale
condivisa nelle società liberali ha spostato la politica globale sia di destra
che di sinistra verso una politica identitaria e distante dall'ordine mondiale
liberale della fine del XX secolo. I valori liberali come la tolleranza e la
libertà individuale sono apprezzati più intensamente quando sono negati: le
persone che vivono in brutali dittature vogliono la semplice libertà di
parlare, associarsi e pregare come preferiscono. Ma con il passare del tempo
il modo di vivere in una società liberale viene dato per scontato e il suo
senso di comunità si affievolisce. Così negli Stati Uniti, le discussioni
tra destra e sinistra ruotano sempre più attorno all'identità, e in particolare
alle questioni di identità razziale, piuttosto che intorno all'ideologia
economica e alle domande sul ruolo appropriato dello stato nell'economia.
C'è un'altra questione significativa che il
liberalismo non riesce ad affrontare adeguatamente, quella che riguarda i
confini del diritto di cittadinanza e dei diritti che nascono con essa. Le
premesse della dottrina liberale tendono all'universalismo: i liberali si
preoccupano dei diritti umani, e non solo dei diritti degli inglesi, o
degli americani bianchi, o di qualche altra classe ristretta di persone. Ma i
diritti sono protetti e fatti rispettare dagli Stati che hanno giurisdizione
territoriale limitata, e la questione di chi si qualifichi come cittadino con
diritto di voto diventa altamente contestata. Alcuni sostenitori dei diritti
dei migranti affermano il diritto umano universale alla migrazione, ma questo è
un corto circuito politico praticamente in ogni democrazia liberale
contemporanea. Al momento, la questione dei confini delle comunità politiche è
risolta da una combinazione di precedenti storici e contestazione politica,
piuttosto che essere basata su di un chiaro principio liberale.
Conclusioni.
Vladimir Putin ha dichiarato al Financial Times che “il
liberalismo è diventato una dottrina obsoleta". Ma, sebbene sia sotto
attacco da più parti, in realtà oggi è più necessario che mai. È più
necessario perché è fondamentalmente un mezzo per governare la diversità e il
mondo di oggi è più diversificato di quanto non sia mai stato. La democrazia
scollegata dal liberalismo non proteggerà la diversità, perché le maggioranze
useranno il loro potere per reprimere le minoranze. Il liberalismo è nato a
metà del XVII secolo come mezzo per risolvere i conflitti religiosi ed è
tornato alla luce dopo il 1945 per risolvere i conflitti tra nazionalismi. Qualsiasi
sforzo illiberale di costruire un ordine sociale basato su forti legami sociali
definiti da nazione, razza, etnia o religione finirà con l’escludere parti
importanti della comunità e porterà al conflitto. La Russia stessa conserva
caratteristiche liberali: la cittadinanza e la nazionalità russa non sono
definite né dall'etnia russa né dalla religione ortodossa; i milioni di
abitanti musulmani della Federazione Russa godono di pari diritti giuridici. In
situazioni di diversità di fatto, i tentativi di imporre un unico stile di vita
a un'intera popolazione è una formula per la dittatura. L'unico altro modo per
organizzare una società diversificata è attraverso accordi formali di
condivisione del potere tra i diversi gruppi di identità ma riconoscendo anche
un valore alla nazionalità condivisa. Questo è il modo in cui sono governati
Libano, Iraq, Bosnia e altri paesi del Medio Oriente e dei Balcani; ma questo
tipo di nazionalismo consortile porta ad una scarsa governabilità causa di
instabilità a lungo termine e funziona male nelle società in cui i gruppi di
identità non siano geograficamente localizzati. Questo non è un percorso lungo
il quale qualsiasi democrazia liberale contemporanea vorrebbe avventurarsi.
Detto questo, la questione sul tipo di politiche
economiche e sociali che le società liberali dovrebbero perseguire è oggi
ancora ampiamente aperta. L'evoluzione del liberalismo in neoliberismo dopo gli
anni '80 ha ridotto notevolmente lo spazio politico disponibile per i leader
politici centristi e ha consentito la crescita di enormi disuguaglianze che
hanno alimentato i populismi di destra e di sinistra. Il liberalismo classico è
perfettamente compatibile con uno Stato forte che vuole protezione sociale per
quella parte di popolazione lasciata indietro dalla globalizzazione ma che allo
stesso tempo garantisca la protezione dei diritti di proprietà fondamentali e
la libera economia di mercato. Il liberalismo è necessariamente connesso alla
democrazia e le politiche economiche liberali devono essere mitigate da
considerazioni di uguaglianza democratica e dalla necessità di stabilità
politica.
Sospetto che la maggior parte dei conservatori
religiosi che criticano il liberalismo oggi negli Stati Uniti e in altri paesi
sviluppati non si illudano di poter riportare l'orologio indietro ad un periodo
in cui le loro opinioni del loro gruppo sociale rappresentavano la corrente
principale di pensiero. La loro critica è diversa: quella che i liberali
contemporanei siano disposti a tollerare qualsiasi insieme di punti di vista,
dall'Islam radicale al satanismo, diversi da quelli tradizionali dei
conservatori religiosi che quindi sentono le loro sicurezze minacciate. Questa
critica è seria: molti progressisti di sinistra si sono mostrati disponibili ad
abbandonare i valori liberali per perseguire obiettivi di giustizia sociale.
Negli ultimi tre decenni c'è stato un continuo attacco intellettuale ai
principi liberali derivante da attività accademiche come studi di genere,
teoria critica della razza, studi postcoloniali ed altre strane teorie, che
negano le premesse universalistiche alla base del liberalismo moderno. La sfida
non è semplicemente quella dell'intolleranza verso altri punti di vista o del
“rinnegare la cultura” nell'accademia o nelle arti. Piuttosto, la sfida è ai
principi di base che tutti gli esseri umani sono nati uguali in un senso
fondamentale, o se una società liberale debba sforzarsi di essere daltonica.
Queste diverse teorie tendono a sostenere che le esperienze vissute da gruppi
di identità specifici, e sempre più ristretti, siano di valore incommensurabile
e che ciò che li divide è più potente di ciò che li unisce alla comunità come
cittadini. Per alcuni, nella tradizione di Michel Foucault, gli approcci
fondamentali al cognitivismo che derivano dalla modernità liberale, come il
metodo scientifico o la ricerca basata sull'evidenza, sono semplicemente
costrutti intesi a rafforzare il potere nascosto delle élite razziali ed
economiche. Il problema qui non è quindi se esista l’illiberalismo
progressista, ma quanto grande sia il pericolo a lungo termine che esso
rappresenta. In paesi dall'India e dall'Ungheria agli Stati Uniti, i
conservatori nazionalisti hanno effettivamente preso il potere e stanno
cercando di usarlo per smantellare le istituzioni liberali e imporre le proprie
opinioni sulla società nel suo insieme. Questo pericolo è chiaro e presente. I progressisti
anti-liberali, al contrario, non sono riusciti a conquistare le vette di
comando del potere politico in nessun paese sviluppato. I conservatori
religiosi sono ancora liberi di pregare in qualsiasi modo ritengano opportuno,
e in effetti sono organizzati negli Stati Uniti come un potente blocco politico
che può influenzare le elezioni. I progressisti esercitano il potere in modi
diversi e più sfumati, principalmente attraverso il loro predominio sulle
istituzioni culturali come i media tradizionali, le arti e gran parte del mondo
accademico. Il potere dello stato viene utilizzato per realizzare la loro
agenda su questioni come abbattere attraverso i tribunali le restrizioni
conservatrici sull'aborto e il matrimonio gay e nella definizione dei programmi
di studio delle scuole pubbliche. Una questione aperta per il futuro è se il
dominio culturale di oggi alla fine porterà al dominio politico in futuro, e
quindi ad un più completo annullamento dei diritti liberali da parte dei
progressisti. L'attuale crisi del liberalismo non è nuova; dalla sua invenzione
nel 17 ° secolo, il liberalismo è stato ripetutamente sfidato da comunitaristi
di spessore a destra e progressisti egualitari a sinistra. Il liberalismo
propriamente inteso è perfettamente compatibile con gli impulsi comunitaristi
ed è stato la base per il fiorire di forme profonde e diversificate di società
civile. È anche compatibile con gli obiettivi di giustizia sociale dei
progressisti: uno dei suoi maggiori risultati è stata la creazione di moderni
stati assistenziali redistributivi alla fine del XX secolo. Il problema del
liberalismo è che funziona lentamente attraverso la deliberazione e il
compromesso, e non raggiunge mai completamente i suoi obiettivi di
giustizia sociale o sociale come vorrebbero i suoi sostenitori. Ma è difficile
vedere come l'abbandono dei valori liberali possa portare a qualcosa a lungo
termine diverso dall'aumento del conflitto sociale e, in ultima analisi, dal
ritorno alla violenza come mezzo per risolvere le differenze.
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