Verso la crisi


Durante il XIX e il XX secolo nei paesi democratici abbiamo visto crescere contemporaneamente il peso dello Stato, che però non ha acquistato un vigore proporzionale alla sua crescita; al contrario si trova ad essere sempre più disubbidito e contestato proprio da coloro che da esso si aspettano tutto. 
Sommerso dalle esigenze, sotto la costante intimazione di risolvere ogni cosa, abusa del diritto di tutto ordinare pervadendo ogni settore, complicando a dismisura, e con poco profitto, le regole di ogni settore della comunità.

Un altro aspetto è l’assoluta impotenza, di fronte alle pressioni rivendicative quotidiane e contrarie esercitate su di esso dai cittadini, avidi di un’assistenza di cui accettano sempre meno degli obblighi come contropartita. Invadendo ogni sfera, lo Stato democratico si è caricato in fin dei conti più di responsabilità che di poteri e la sua dilatazione lo rende vulnerabile e spesso lo paralizza, di fronte a clientele più ansiose di tartassarlo che di ascoltarlo. L’eccesso di regole, molte inutili, soffoca l’economia ed il rapporto tra le persone. Abbiamo accettato troppe norme imposte senza chiedersi se avessero realmente utilità e consenso. 

Questi comportamenti determinano uno sgretolamento delle società democratiche in gruppi separati che si battono per i propri vantaggi preoccupandosi poco degli altri gruppi e della comunità nel suo insieme.

Anche la forza dell’opinione pubblica è cambiata, sia in termini di versatilità che di diversità, e si è frammentata tra culture multiple spesso molto diverse tra loro per gusti, modi di vivere, morale, linguaggio; un vero e proprio arcipelago in cui la rivendicazione della propria originalità di ciascuna “isola” ha il sopravvento sul sentimento di appartenere al gruppo nazionale e più ancora al gruppo delle nazioni democratiche.


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